Li chiamarono... briganti!
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Trama
Con la caduta del Regno delle Due Sicilie e la sua annessione al Regno d'Italia, il sud Italia viene logorato da un sanguinario scontro che vede contrapporsi l'esercito italiano fedele al re Vittorio Emanuele II e gruppi di insurrezionalisti, composti perlopiù da braccianti disperati e militari del decaduto regno borbonico, etichettati "briganti" dalla storiografia maggioritaria. Tra i rivoltosi del meridione si distingue Carmine Crocco, un popolano originario di Rionero in Vulture.Tornato al proprio paese, Crocco scopre che il potere ha sempre la stessa faccia: con il nuovo governo sabaudo, la situazione economica e sociale non è affatto cambiata e la classe dominante ha le mani libere per speculare ed opprimere la gente, vedendo un profondo disagio negli occhi dei suoi compaesani. Crocco, già ricercato per aver ucciso un uomo che aveva umiliato sua sorella, ha combattuto con Garibaldi, sperando di ottenere l'amnistia e un posto nella Guardia Nazionale Italiana come promesso dal nuovo governo. Ma la parola non viene mantenuta e Crocco è rinchiuso in carcere ma con l'aiuto della chiesa e di notabili fedeli ai Borbone viene subito liberato.
Crocco è amareggiato per la promessa mancata del nuovo governo e gli esponenti legittimisti, vedendo in lui una grande dote di leader, lo convincono a diventare il capo della resistenza antiunitaria. Sposando la causa dei Borbone, Crocco comanda un esercito composto prevalentemente da persone disagiate e con l'appoggio dei suoi ausiliari Ninco Nanco, Caruso e la sua consorte Filomena, conquista varie città della sua zona, tra cui Rionero eMelfi, in nome del re Francesco II.
Intanto, il nuovo governo incarica il generale Enrico Cialdini di eliminare il brigantaggio. Cialdini si distingue con metodi implacabili: ordina l'arresto dei briganti e di chiunque avesse rapporti con loro, impone stermini di massa (ove non vengono risparmiati neanche donne e bambini) e sequestri di beni di prima necessità per il popolo. I suoi metodi crudeli vengono contestati dal caporale dei carabinieri Nerza, sebbene costretto ad obbedire agli ordini superiori, ma ciò non distoglie Cialdini dal suo obiettivo.
Crocco riceve il generale spagnolo José Borjes, mandato dal generale borbonico Tommaso Clary per conto diFrancesco II, con l'obiettivo di trasformare la banda del brigante in un vero e proprio esercito. Tra i due però i rapporti sono precari e, nonostante alcuni successi in battaglia, il sodalizio durerà poco, poiché Crocco si sente sfruttato e strumentalizzato dal governo borbonico in esilio, decidendo così di interrompere la collaborazione con il generale e tornare nei boschi.
Intanto Caruso sparisce all'insaputa di tutti, costituendosi presso le autorità sabaude e sperando in un provvedimento di misericordia nei suoi confronti. Essendo a conoscenza dei rifugi e delle tattiche dei briganti, Caruso rappresenta un componente essenziale per infliggere un duro colpo alle bande e così viene affidato al caporale Nerza per condurre i soldati piemontesi nel loro covo. Il suo tradimento porta alla decimazione dei gruppi di cui era parte e molti dei suoi ex compagni d'armi, compreso Ninco Nanco, vengono eliminati. Davanti ad una battaglia persa, per Crocco l'unica via per mettersi in salvo è la fuga.
Produzione
Benché sia ambientato nella zona del Vulture in Basilicata, il film fu girato ad Artena (RM).[1] Gli attori che interpretano la popolazione locale recitano in napoletano, sebbene il dialetto del Vulture sia diverso da quello partenopeo. Realizzato con i contributi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali,[2] l'opera è una dedica di Squitieri a Sergio Leone. La sigla iniziale è cantata da Lina Sastri che interpreta tre canzoni Briganti, La Brigantessa, La Profezia con testo e musica di Luigi Ceccarelli.Commento
È prettamente un film revisionista, volto a raccontare un'altra versione dei fatti avvenuti poco dopo ilRisorgimento, in special modo nel Meridione.[3]Gli eventi narrati forniscono un quadro generale della situazione nell'immediato periodo posteriore all'unità, dove vengono illustrate in maniera cruda le atrocità che l'esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni lucane. Tra queste: stupri, eccidi di massa compiuti in nome del diritto di rappresaglia e decapitazioni di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra per intimorire le popolazioni locali.
Quest'episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente utilizzata durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Inoltre Squitieri mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell'unità d'Italia che si abbatterono nel sud della penisola: la questione meridionale e l'emigrazione.
Critica
Il film fu penalizzato dalla critica e registrò un incasso irrisorio al botteghino (107.451.000 lire),[4] dovuto anche all'immediato ritiro dalle sale cinematografiche ed è introvabile sia in supporto VHS che DVD. I motivi della sospensione non sono stati resi noti, sebbene i sostenitori parlino di censura. Lo scrittore Lorenzo Del Boca ha detto al riguardo che "per ammissione unanime dei commentatori, è stato boicottato in modo che lo vedesse il minor numero di persone possibile".[5]Adolfo Morganti, direttore della casa editrice Il Cerchio e coordinatore nazionale dell'associazione Identità Europea, sostiene che il film venne ritirato a causa di pressioni da parte dello Stato maggiore dell'Esercito, poiché non avrebbe visto di buon occhio la raffigurazione dei metodi attuati dal regio esercito nel meridione e la Medusa Film, proprietaria della pellicola, si rifiuta di cederne i diritti di trasmissione.[6]
Il film è stato criticato da diverse testate giornalistiche per agiografia nei confronti di Crocco e una visione troppo sanguinaria di personaggi come Cialdini.[7] Il Dizionario dei film a cura di Morando Morandini lo giudicò "Isterico più che epico. Un'occasione mancata di controinformazione storica."[8]
Il critico Stefano Della Casa lo definì "Un film interessante proprio perché fuori dal tempo".[9] Lo scrittore Nicola Zitara si espresse positivamente, giudicandolo "un racconto epico e appassionante".[10]